Padova

Frode IVA nel settore delle auto usate: sequestri per 1,15 milioni di euro

L’attività di servizio in rassegna ha permesso di disvelare un’articolata “frode carosello” - consistente in un meccanismo evasivo preordinato ad ottenere indebiti crediti Iva, avvalendosi della disciplina applicabile agli scambi intracomunitari, mediante l’interposizione di “società fantasma”.

Frode IVA nel settore delle auto usate: sequestri per 1,15 milioni di euro
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L'indagine della Guardia di Finanza.

Attività investigativa

Dal 12 al 18 novembre 2020, i Finanzieri del Comando Provinciale di Padova hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca anche nella forma per equivalente, di beni e disponibilità finanziarie, pari a 1,15 milioni di euro circa, emesso nei confronti di due persone fisiche, ritenute i promotori del sodalizio criminale, a conclusione di un’indagine instaurata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova e scaturita da autonoma attività investigativa nel settore del contrasto all’evasione e alle frodi fiscali.

In particolare, all’esito degli accertamenti patrimoniali le Fiamme Gialle hanno sottoposto a sequestro 3 unità immobiliari, ubicate nel comune di Castello di Godego (TV), e il saldo attivo del conto corrente di uno degli indagati.

Le indagini

La descritta misura cautelare reale rappresenta l’epilogo di approfondite indagini di polizia giudiziaria e della parallela attività fiscale svolte dalla Compagnia di Cittadella. L’attività di servizio in rassegna ha permesso di disvelare un’articolata “frode carosello” - consistente in un meccanismo evasivo preordinato ad ottenere indebiti crediti Iva, avvalendosi della disciplina applicabile agli scambi intracomunitari, mediante l’interposizione di “società fantasma”, le quali omettono i propri adempimenti tributari - che ha coinvolto, nel tempo, una concessionaria di auto trevigiana e sei società di capitali operanti nel medesimo settore, di cui quattro italiane, specificamente venete, e due ungheresi. Come noto, le cessioni intracomunitarie, intercorse tra imprese di due Stati dell’Unione europea, non comportano l’addebito dell’Iva, mentre il suddetto tributo grava sui beni commercializzati solo all’atto della vendita in territorio nazionale.

Fatture emesse da operatori tedeschi

Gli acquisti delle autovetture erano documentati da fatture emesse da operatori economici tedeschi, che le rivendevano in maniera meramente cartolare a varie imprese, estere e/o italiane, coinvolte nell’illecito meccanismo fraudolento, con ultima destinazione da individuarsi nella citata concessionaria, reale destinataria dei beni, che ne curava la cessione a privati o ad altre imprese operanti sul territorio nazionale a prezzi particolarmente vantaggiosi, falsando la concorrenza. Le indagini hanno permesso di acclarare che le quattro società italiane e le due magiare erano tutte riconducibili ad un unico socio occulto e amministratore di fatto, il quale collaborava con il rappresentante legale della concessionaria per il reperimento e la commercializzazione delle auto di interesse.

Erano ignari della frode

Tutte le società “cartiere”, formalmente esistenti per brevi periodi, nonché sprovviste di un’autonoma struttura operativa e di mezzi propri, non disponevano delle risorse finanziarie necessarie per acquistare le autovetture dalla Germania e naturalmente i fornitori tedeschi, ignari della frode, prima di ciascuna cessione ne esigevano il pagamento. In buona sostanza, la concessionaria italiana beneficiaria del sistema fraudolento anticipava il denaro al proprio fornitore “cartolare”, da identificarsi con l’emittente della fattura d’acquisto, che, a sua volta, lo girava a ciascun operatore del circuito commerciale interessato sino ad arrivare all’originario fornitore tedesco: in sintesi, i flussi finanziari procedevano in senso opposto rispetto agli scambi documentati da fatture, mai realmente avvenuti tra le citate imprese “fantasma”, risultando evidente come l’interposizione fittizia di tali società “di comodo” fosse finalizzata a generare un indebito credito Iva in capo alla concessionaria, ultimo anello della catena commerciale.

Successivamente al pagamento, comprensivo dell’importo dell’Iva non versata all’erario e gravante sulle operazioni nazionali, i conti correnti bancari di tutte le società “cartiere”, che non ottemperavano sistematicamente agli obblighi tributari per le annualità dal 2014 al 2019, venivano svuotati attraverso prelevamenti in contanti, per rientrare nella disponibilità dei promotori della frode fiscale. L’attività di servizio in rassegna testimonia la costante azione della Guardia di Finanza nel contrasto all’evasione fiscale e, in particolare, alle frodi in materia di imposta sul valore aggiunto, così contribuendo a drenare risorse finanziarie sottratte al bilancio dello Stato e dell’Unione europea e a favorire le condizioni necessarie per tutelare la concorrenza e gli imprenditori rispettosi delle regole di mercato, ingiustamente danneggiati dalla maggiore competitività degli autori di simili condotte illecite.

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