Studio shock dell'Università di Padova: in 34 anni, 4mila morti da Pfas in più nella "area rossa"
Il report ha analizzato i dati di 30 Comuni fra Vicenza, Padova e Verona, nel periodo fra il 1985 e il 2018
Quasi 4 mila morti in più in 34 anni nell'area rossa, causati da Pfas: è quanto emerge da uno studio dell'Università di Padova e pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Health. Il report ha analizzato il periodo dal 1985 al 2018 e ha rivelato l'impatto devastante della contaminazione. Più decessi, più malattie cardiovascolari e un'incidenza di malattie tumorali superiore alla media. L'area coinvolta comprende 30 comuni veneti in un raggio di 190 chilometri quadrati, tra le province di Verona, Vicenza e Padova.
Lo studio dell’Università di Padova su Pfas: quasi 4mila morti in più in 34 anni
Nel 2013 si è scoperta una vasta area contaminata da PFAS che comprende superficie, suolo e acqua potabile di tre province del Veneto, coinvolgendo almeno 30 comuni e una popolazione di circa 150mila abitanti (la cosiddetta Area Rossa).
Da allora molti interventi di contenimento sono stati attivati dalla Regione Veneto, di tipo ambientale, con l’applicazione di filtri sulle acque per uso umano, e di tipo sanitario, con l’avvio del Piano di Sorveglianza Sanitaria.
Nel 2020 la Regione aveva affidato all’impresa sociale Epidemiologia e Prevenzione (ente no-profit del terzo settore) la fattibilità di indagini epidemiologiche sulla popolazione residente che prevedevano il coinvolgimento attivo della cittadinanza.
In questo ambito il gruppo di ricerca dell’Università di Padova coordinato dal prof Annibale Biggeri del Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova – in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e con il contributo di citizen science del gruppo Mamme NO PFAS – ha pubblicato su "Enviromental Health" lo studio dal titolo “All-cause, cardiovascular disease and cancer mortality in the population of a large Italian area contaminated by perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances (1980–2018)” dove, per la prima volta, i dati forniti dimostrano formalmente un’associazione tra esposizione a PFAS e mortalità per malattie cardiovascolari, mettendo in evidenza anche la correlazione tra cancro del rene e cancro ai testicoli e PFAS nella popolazione veneta dell’area contaminata.
I dati
L'Istituto Superiore di Sanità ha pre-elaborato e reso disponibili i dati anonimi provenienti dagli archivi dei certificati di morte dell'Istituto Nazionale di Statistica relativi ai residenti delle province di Vicenza, Padova e Verona deceduti tra il 1980 e il 2018.
L'analisi del periodo di calendario e coorte di nascita è stata effettuata utilizzando come riferimento la popolazione totale delle tre province. L'esposizione è stata definita sulla base della residenza in uno dei 30 comuni dell'area Rossa, dove l'acquedotto che fornisce acqua potabile era alimentato dalla falda contaminata.
"Nei 34 anni compresi tra il 1985, assunto come data di inizio della contaminazione delle acque e il 2018, ultimo anno di disponibilità dei dati di mortalità causa-specifica, nella popolazione residente dell’area Rossa abbiamo osservato 51.621 decessi contro 47.731 attesi – spiega il professor Annibale Biggeri –. Si tratta di un eccesso di 3890 morti rispetto all’atteso, cioè di un morto in più ogni 3 giorni.
Abbiamo trovato prove di un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari, in particolare malattie cardiache e cardiopatia ischemica, e malattie neoplastiche maligne, tra cui il cancro del rene e il cancro ai testicoli. Ed il trend è in crescita soprattutto tra i più giovani, dove abbiamo riscontrato un aumento della mortalità per tumori. Degno di nota anche il fatto che si riscontri un effetto protettivo nelle donne in età fertile, probabilmente dovuto al trasferimento di PFAS alla progenie".
Le "Mamme NoPfas" in prima linea
Sulla questione si sono da sempre battute le "Mamme NoPfas", che anche in questo caso hanno sottolineato la gravità dei risultati ottenuti dalle recenti ricerche in un post su Facebook.
"Queste drammatiche evidenze scientifiche sottolineano che non esistono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello Studio di Coorte, deliberato dalla Regione del Veneto già nel 2016, ma mai iniziato. E no, il Piano di Sorveglianza Sanitaria non basta perché ha metodi e obiettivi diversi. In particolare lo Studio di Coorte è fondamentale in questo contesto per diverse ragioni tra cui l’analisi a lungo termine, l’identificazione dei fattori di rischio, il delineamento di informazioni per le politiche di salute pubblica.
Pertanto, nonostante il Piano di Sorveglianza Sanitaria fornisca informazioni preziose sulla salute della popolazione esposta, lo Studio di Coorte è un complemento indispensabile per comprendere a fondo l’impatto della contaminazione da PFAS sulla salute umana. Ci interfacceremo con tutti gli enti e le istituzioni preposte perché siano comprese la necessità e l’urgenza di questo Studio di Coorte di cui la popolazione colpita ha diritto!".